domenica 30 ottobre 2011
lunedì 23 maggio 2011
Lo zen e l'arte della pesca
Paolo Triestino e Nicola Pistoia ancora insieme, scaramanticamente indissolubili come una squadra vincente. Stavolta, aggiungendo al loro pool di mattatori quell’elemento «primordiale» dal quale partì tutto: la scrittura di Edoardo Erba, che li fece decollare come coppia di scena e di successo in Muratori, e che qui si presta a una partitura su misura per loro. Trote nuota proprio tra la specularità dei due caratteri - emotivo e impetuoso Triestino, burbero e lunare Pistoia -, tessendo una cronaca del quotidiano, dove irrompe il destino che smaglia le vite di entrambi. Il nodo di scambio è un referto clinico che finisce nelle mani del meccanico Maurizio (Triestino) invece che in quelle dell’operaio Luigi (Pistoia). Sconvolto all’idea di avere pochi mesi di vita, Maurizio confessa i suoi tradimenti alla moglie (Elisabetta De Vito) e manda al diavolo un cliente della sua officina. Poi si accorge dell’errore e fa un rapido dietrofront nei suoi panni di piccolo imprenditore arricchito e cafoncello. Non prima però di farsi venire uno scrupolo di coscienza e di andare a cercare lo sfortunato destinatario di quelle analisi.
Lo trova a pesca sull’Aniene, in un luogo appartato e distante dalla frenesia della città e dei suoi consumi. In un tempo altro, dove possono affiorare memorie d’infanzia, la pace dell’anima come la vorresti, i sogni da far galleggiare sull’acqua e magari pescarli con l’esca giusta come si fa con le trote. «Nun aspetto er pesce - spiega Luigi -. Aspetto che diventi perfetto». È lo zen e l’arte della pesca, è la crepa nell’inferno del vivere, del lavorare in fabbrica a respirare diossina, e intravedere un’altra esistenza, un altrove migliore. Ma non c’è redenzione possibile per Luigi, e il senso dell’incontro arriva anche a Maurizio, che - nonostante sembri ricadere nel suo vivere frastornato e spaccone -, ne è stato invece irrimediabilmente toccato.
Erba muove con cautela i fili tematici della malattia e della morte, in una trama dove il romanesco dei protagonisti smorza il dramma, va verso la filosofia smagata del popolino. Quella agroamara e malinconica dei personaggi alla Carlo Verdone piuttosto che quella insidiosa e sulfurea dei versi di Gioachino Belli. C’è un po’ di mestiere, forse, sia nella struttura drammaturgica, sia nel gioco di rimbalzi fra una coppia di attori sbrigliata e irresistibile. Una linea di rimmel che sottolinea uno sguardo verso il basso, ma il colpo d’ala arriva con l’immagine del pescatore di corpi, che riporta ad altri naufraghi e altre derive. Qui si apre il grandangolo di un senso più profondo, di una comunanza di drammi non solo privati ma allargata a un’umanità smarrita. Ben sottolineata dai gorgoglii sonori di Hubert Westkemper e dall’interessante scenografia di Alessandra Ricci, con quei murales allucinati da città folle e poi le traballanti pas- serelle di legno e tubi innocenti che fanno da graticcio esistenziale a Pistoia e Triestino.
Rossella Battisti
da L'Unità, sabato 14/5/2011
domenica 27 marzo 2011
La scomparsa di Franco Quadri
Non avrei mai voluto scrivere questo post. Ieri sera Franco Quadri se n'è andato. Alcune persone sono insostituibili e lui era una di quelle. Per cinquant'anni è andato a teatro quasi tutte le sere. Era la sua professione, certo, ma era prima di tutto una travolgente passione. Viscerale, vissuta da tifoso, da partigiano, da combattente. Un critico sì, ma sempre schierato: non c'era mai fasulla imparzialità nelle sue riflessioni, c'erano una carica e un amore per il Teatro che nessun altro aveva. Fosforico nell'intelligenza, acuto nei giudizi, ironico, divertente, ma soprattutto generoso. Franco era così. Mi ha onorato - l'espressione è un po' vecchia, ma non ne trovo altre - della sua amicizia per dieci anni. Era un editore come non se ne trovano, con lui ho firmato un contratto che prevedeva solo diritti per me e solo compiti per lui. L'ultima volta che l'ho visto nella sede di Ubulibri era il ventiquattro dicembre di quest'anno. Mi ha regalato l'ultima copia di Maratona di New York che aveva in magazzino. E ha scritto a matita sulla prima pagina: "A Edoardo con affetto l'ultima copia del suo capolavoro in attesa di ristampa e ovviamente di nuovi capolavori". Cercherò di darti retta. Grazie, Franco. Con affetto
Edoardo Erba
giovedì 13 gennaio 2011
Michelina all'Ambra
sabato 18 dicembre 2010
mercoledì 15 dicembre 2010
Gassman figlio, ottimo padre
"Roman e il suo cucciolo" riscritto da Erba, il testo ebbe successo con De Niro.
In Roman e il suo Cucciolo Alessandro Gassman dà un' altra prova della sua maturità, non solo di attore. Le cose notevoli, nel suo nuovo spettacolo, non sono poche. Comincio dallo sconosciuto autore: Reinaldo Povod a 17 anni si era fatto notare con il primo testo teatrale. Ma nel 1986 Cuba and His Teddy Bear ottenne un enorme successo: ne erano interpreti Robert De Niro e Burt Young. Fu proprio questo risultato (così il programma di sala) a rovinarlo. Scrisse una sola altra commedia e, nel 1994, a 34 anni, morì a Brooklyn. La seconda cosa notevole è la traduzione di Edoardo Erba. Più che una traduzione, una riscrittura, quasi un' opera originale. I cubani emigrati a New York dopo la rivoluzione castrista ora sono i rumeni fuggiti in Italia dopo la morte di Ceaucescu, nell' 89. Straordinaria è la capacità di ascolto di Erba, straordinario il suo mimetismo. I personaggi parlano in un italiano storpiato, una lingua quasi nuova: la riconosce chi abbia dimestichezza con i rumeni. Non bastasse, gli interpreti della commedia danno il meglio di sé nel pronunciarla, questa lingua; e, ancora di più, nella velocità della pronuncia. Come i rumeni, quasi temessero di non essere capiti o quasi non lo volessero per timore di essere giudicati, sono così rapidi da mangiarsi le parole, la parte finale di una parola, quella che segue a sopraffare quella che precede. La terza cosa notevole l' ho appena suggerita, la qualità degli interpreti: non celeberrimi, ma bravissimi nella concertazione oserei dire musicale del testo. Infine c' è lui, Alessandro, primo attore e regista. Colpisce che egli interpreti la parte di Cuba, ovvero di Roman, il padre. Non è Alessandro un figlio per eccellenza? Il bello invece è proprio che sia un padre. Nelle sequenze iniziali ci sconcerta, poi ne prendiamo atto, Alessandro è cresciuto, l' ho già detto, non solo come attore. I padri giovani non sono frequenti. Ma a più di 40 anni si può benissimo avere un figlio adolescente e, come nella commedia di Povod/Erba, i malintesi possono essere tanti, fino a risultare insormontabili. In Roman e il suo Cucciolo non succede niente di importante fino a pochi minuti dalla fine. Una o due lunghe giornate in canottiera e pantofole, buttati su un miserabile divano e su una poltrona sfondata. Roman è uno spacciatore. Geco è l' amico lasciato dalla moglie e Cucciolo è il ragazzo che vorrebbe uscire dal ghetto della Casilina in cui il padre vive. Ma che esempi ha, Cucciolo? che speranze? L' unico suo amico, un certo Che (con il basco!) è un paroliere un tempo approdato a San Remo e ora, diciamo così, esperto in eroina. «Aiutami tu», gli chiede Cucciolo; e il disgraziato gli ficca un ago in vena. Il dramma precipita quando Roman si accorge di ciò che Cucciolo sta facendo della sua vita. Per farsi capire dal figlio, lui che sa solo vendere merci proibite, non riesce a dimostrare i propri reali sentimenti altro che attraverso un gesto estremo. Naturalmente, in questa conclusione il brillante dialogato della commedia svela il suo senso non già critico ma sentimentale; ed è proprio in questo punto di rottura che i temi di Roman e il suo Cucciolo - la droga, o la convivenza tra etnie diverse, una più feroce dell' altra, o l' incomprensione tra padri e figli - perdono di vigore. Ma a rendere tutto credibile ci sono la regia e l' interpretazione di Gassman e dei suoi compagni: Manrico Gammarota, che è Geco, Giovanni Anzaldo, che è Cucciolo, Sergio Meogrossi, Matteo Taranto, Natalia Lungu e Andrea Paolotti.
FRANCO CORDELLI
dal Corriere della Sera, 21 marzo 2010 -pagina 46
Debutta Trote di Edoardo Erba
Il debutto nazionale in un teatro, il Nino Manfredi, che ha suggellato i precedenti successi di una coppia di attori, ormai fratelli sulla scena: Paolo Triestino e Nicola Pistoia. “Trote” di Edoardo Erba, conferma innanzitutto la vena poetica e allo stesso tempo realistica dell’autore. Sensibile e attento a tutto quanto ci circonda; ai sogni, alle disillusioni, ai tormenti e alle difficoltà di rapporto oggi dovuta per lo più, al vivere frenetico. Ed è proprio il vivere frenetico a fare da sottofondo a questo spettacolo che racconta l’incontro di due persone, probabilmente di fronte ad un bivio diverso l’uno dall’altro. Ognuno con un bagaglio di esperienza che li ha portati ad essere quello che sono e che all’improvviso si trovano a mettere in discussione quanto fatto e il modo stesso di essere. Tutto nasce da un equivoco. Maurizio (Paolo Triestino) meccanico con i piedi per terra, ipocondriaco, dopo essersi sottoposto ad un check up, corre a ritirare il referto medico nel laboratorio che sta per chiudere. La sua ipocondria lo porta ad essere timoroso e prega l moglie di leggergli il referto. L’ansia si trasforma in sgomento e tragedia: la situazione è grave e il male è quello “incurabile”. È il momento della verità, anche con la moglie alla quale confessa di averla tradita e tante altre cose. Poi ecco la sorpresa: il referto non è suo ma di un certo Luigi (Nicola Pistoia) appassionato pescatore di trote. E Maurizio si mette in testa di andarlo a cercare per dargli lui stesso la notizia. Ma il racconto non faccia pensare ad uno spettacolo strappalacrime. Tutto è raccontato con ironia e leggerezza e il dialetto romanesco aiuta in questo. Dall’incontro tra i due le prime sorprese. Lo scoprirsi di essere diversi da come si pensa di essere. Edoardo Erba con i suoi dialoghi è perfetto; riesce a prendere il pubblico (ricordate Muratori?). A questo punto poco importa il finale tutto da scoprire. Importa invece che il Nino Manfredi ha tenuto a battesimo uno spettacolo bello; un altro momento di teatro del quale difficilmente Triestino e Pistoia potranno separarsi, così come peraltro accaduto con lo stesso Muratori, Grisù, Giuseppe e Maria e Ben Hur.
FABRIZIO PACIFICI
da "Via Veneto", Domenica 10 Ottobre 2010
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