sabato 18 dicembre 2010
mercoledì 15 dicembre 2010
Gassman figlio, ottimo padre
"Roman e il suo cucciolo" riscritto da Erba, il testo ebbe successo con De Niro.
In Roman e il suo Cucciolo Alessandro Gassman dà un' altra prova della sua maturità, non solo di attore. Le cose notevoli, nel suo nuovo spettacolo, non sono poche. Comincio dallo sconosciuto autore: Reinaldo Povod a 17 anni si era fatto notare con il primo testo teatrale. Ma nel 1986 Cuba and His Teddy Bear ottenne un enorme successo: ne erano interpreti Robert De Niro e Burt Young. Fu proprio questo risultato (così il programma di sala) a rovinarlo. Scrisse una sola altra commedia e, nel 1994, a 34 anni, morì a Brooklyn. La seconda cosa notevole è la traduzione di Edoardo Erba. Più che una traduzione, una riscrittura, quasi un' opera originale. I cubani emigrati a New York dopo la rivoluzione castrista ora sono i rumeni fuggiti in Italia dopo la morte di Ceaucescu, nell' 89. Straordinaria è la capacità di ascolto di Erba, straordinario il suo mimetismo. I personaggi parlano in un italiano storpiato, una lingua quasi nuova: la riconosce chi abbia dimestichezza con i rumeni. Non bastasse, gli interpreti della commedia danno il meglio di sé nel pronunciarla, questa lingua; e, ancora di più, nella velocità della pronuncia. Come i rumeni, quasi temessero di non essere capiti o quasi non lo volessero per timore di essere giudicati, sono così rapidi da mangiarsi le parole, la parte finale di una parola, quella che segue a sopraffare quella che precede. La terza cosa notevole l' ho appena suggerita, la qualità degli interpreti: non celeberrimi, ma bravissimi nella concertazione oserei dire musicale del testo. Infine c' è lui, Alessandro, primo attore e regista. Colpisce che egli interpreti la parte di Cuba, ovvero di Roman, il padre. Non è Alessandro un figlio per eccellenza? Il bello invece è proprio che sia un padre. Nelle sequenze iniziali ci sconcerta, poi ne prendiamo atto, Alessandro è cresciuto, l' ho già detto, non solo come attore. I padri giovani non sono frequenti. Ma a più di 40 anni si può benissimo avere un figlio adolescente e, come nella commedia di Povod/Erba, i malintesi possono essere tanti, fino a risultare insormontabili. In Roman e il suo Cucciolo non succede niente di importante fino a pochi minuti dalla fine. Una o due lunghe giornate in canottiera e pantofole, buttati su un miserabile divano e su una poltrona sfondata. Roman è uno spacciatore. Geco è l' amico lasciato dalla moglie e Cucciolo è il ragazzo che vorrebbe uscire dal ghetto della Casilina in cui il padre vive. Ma che esempi ha, Cucciolo? che speranze? L' unico suo amico, un certo Che (con il basco!) è un paroliere un tempo approdato a San Remo e ora, diciamo così, esperto in eroina. «Aiutami tu», gli chiede Cucciolo; e il disgraziato gli ficca un ago in vena. Il dramma precipita quando Roman si accorge di ciò che Cucciolo sta facendo della sua vita. Per farsi capire dal figlio, lui che sa solo vendere merci proibite, non riesce a dimostrare i propri reali sentimenti altro che attraverso un gesto estremo. Naturalmente, in questa conclusione il brillante dialogato della commedia svela il suo senso non già critico ma sentimentale; ed è proprio in questo punto di rottura che i temi di Roman e il suo Cucciolo - la droga, o la convivenza tra etnie diverse, una più feroce dell' altra, o l' incomprensione tra padri e figli - perdono di vigore. Ma a rendere tutto credibile ci sono la regia e l' interpretazione di Gassman e dei suoi compagni: Manrico Gammarota, che è Geco, Giovanni Anzaldo, che è Cucciolo, Sergio Meogrossi, Matteo Taranto, Natalia Lungu e Andrea Paolotti.
FRANCO CORDELLI
dal Corriere della Sera, 21 marzo 2010 -pagina 46
Debutta Trote di Edoardo Erba
Il debutto nazionale in un teatro, il Nino Manfredi, che ha suggellato i precedenti successi di una coppia di attori, ormai fratelli sulla scena: Paolo Triestino e Nicola Pistoia. “Trote” di Edoardo Erba, conferma innanzitutto la vena poetica e allo stesso tempo realistica dell’autore. Sensibile e attento a tutto quanto ci circonda; ai sogni, alle disillusioni, ai tormenti e alle difficoltà di rapporto oggi dovuta per lo più, al vivere frenetico. Ed è proprio il vivere frenetico a fare da sottofondo a questo spettacolo che racconta l’incontro di due persone, probabilmente di fronte ad un bivio diverso l’uno dall’altro. Ognuno con un bagaglio di esperienza che li ha portati ad essere quello che sono e che all’improvviso si trovano a mettere in discussione quanto fatto e il modo stesso di essere. Tutto nasce da un equivoco. Maurizio (Paolo Triestino) meccanico con i piedi per terra, ipocondriaco, dopo essersi sottoposto ad un check up, corre a ritirare il referto medico nel laboratorio che sta per chiudere. La sua ipocondria lo porta ad essere timoroso e prega l moglie di leggergli il referto. L’ansia si trasforma in sgomento e tragedia: la situazione è grave e il male è quello “incurabile”. È il momento della verità, anche con la moglie alla quale confessa di averla tradita e tante altre cose. Poi ecco la sorpresa: il referto non è suo ma di un certo Luigi (Nicola Pistoia) appassionato pescatore di trote. E Maurizio si mette in testa di andarlo a cercare per dargli lui stesso la notizia. Ma il racconto non faccia pensare ad uno spettacolo strappalacrime. Tutto è raccontato con ironia e leggerezza e il dialetto romanesco aiuta in questo. Dall’incontro tra i due le prime sorprese. Lo scoprirsi di essere diversi da come si pensa di essere. Edoardo Erba con i suoi dialoghi è perfetto; riesce a prendere il pubblico (ricordate Muratori?). A questo punto poco importa il finale tutto da scoprire. Importa invece che il Nino Manfredi ha tenuto a battesimo uno spettacolo bello; un altro momento di teatro del quale difficilmente Triestino e Pistoia potranno separarsi, così come peraltro accaduto con lo stesso Muratori, Grisù, Giuseppe e Maria e Ben Hur.
FABRIZIO PACIFICI
da "Via Veneto", Domenica 10 Ottobre 2010
Il jogging esistenziale di due podisti
In Maratona di New York di Edoardo Erba due aspiranti concorrenti si confrontano con la vita
E' un testo leggendario Maratona di New York, un' opera prima lieve, divertentee drammatica che portò fortuna a Edoardo Erba quando debuttò in quel 1992 come autore teatrale, perché il suo testo sarebbe stato subito premiato in Italia e rapidamente tradotto in varie lingue per essere recitato in tutto il mondo. A questo boom ha certo contribuito il tema, che vede due ragazzi allenarsi nel proprio paese alla mitica gara suggerita dal titolo, senza peraltro mostrare nessun riferimento organizzativo o pratico a quella meta, mentre i protagonisti si deliziano di fare riferimenti scolastici alle origini di questa gara, introdotta dall' antica Ellade alle Olimpiadi per onorare la marcia di Fidippide da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria navale contro l' invasore persiano. Ed è impegnativo l' allenamento notturno che spinge, svariati mesi prima della gara, ciascuno sulla propria corsia, davanti allo scorrere distraente di un video panoramico,i due aspiranti concorrenti interpretati da Cristian Giammarini e Giorgio Lupano, entrambi quasi quarantenni e impegnati pure come registi nello spettacolo del Teatro delle Marche visto al Puccini, timorosi dal principio alla fine del crampo che può interrompere da un momento all' altro una fatica non fittizia. E la crudeltà dell' autore colora inesorabilmente la rincorsa da fermo della coppia affidandoa ciascun candidato una pioggia di parole che, dentro e fuori dal sogno, rivangano la storia umana o si soffermano sullo stato di salute dei due atleti, ma sono in realtà destinate a imprimere un impulso ritmico ai movimenti di entrambi, bravissimi anche nel differenziare la loro forma fisica prima che uno dei due (ovviamente quello che appariva il più sicuro) crolli al tappeto colpito da una crisi forse definitiva, come si addice a un dramma che, fingendo di narrare una piccola storia, tocca la nostra realtà nel profondo.
FRANCO QUADRI
da Repubblica Milano, 28 maggio 2010 pagina 18
Erba rivitalizza il testo di Durrenmatt
Tutto si potrà dire di Edoardo Erba, comunque più nel nel bene che nel male, salvo che gli manchi la fantasia non solo nell'inventare situazioni che facilmente spaziano dal comico al drammatico, anzi godono nel mischiarli, ma viaggiano tranquillamente tra i secoli, le civiltà, le epoche, i continenti per non dire i generi. Ma se creare è bello, ricreare lo è ancora di più e il nostro, non contento di riscrivere vite umane realmente vissute, rivisita con gran gusto altri autori riadattando pieces, film, o specialmente racconti. E' il caso di Die Panne - ovvero la notte più bella della mia vita - ripreso dal racconto di un altro scrittore che nel dopoguerra ha molto goduto e fatto godere frugando nei secoli o nei giorni della nostra epoca come l'elvetico Friedrich Durrenmatt. E qui ci narra l'avventura di un tale che una sera per un guasto della sua Volvo in una valle montana si rifugia in una villetta dove un quintetto di ex legulei in pensione ha l'abitudine di accogliere gli ospiti ricostruendo insieme dei processi in cui questi ultimi diventano parti in causa. Allora il personaggio del malcapitato Alfredo Traps vitalizzato con humor e passione da Giammarco Tognazzi si sprofonda a narrare con grande partecipazione che deve la sua carriera al'assassinio del proprio principale, seguito dal suicidio della moglie che era la sua amante, e viene condannato a morte dalla corte costituita con molta serietà dai suoi ospiti. A questo punto Durrenmatt prospettava tre diversi finali - esecuzione, suicidio, accordo - nel racconto originale e nelle edizioni radiofoniche e teatrali da lui elaborate, ed Erba si tiene nel mezzo, ma come in un vero giallo è preferibile non tradire il mistero del gustoso spettacolo ricordando ancora almeno le preziose interpretazioni di Lombardo Fornara e Bruno Armando nelle belle scene lignee di Andrea Taddei.
FRANCO QUADRI
da Repubblica Milano, Venerdì 12 Marzo 2010 - pagina XIV
Senza Hitler di Edoardo Erba
CATANIA - Tutto è incentrato su una folle, affascinante, ipotesi: cosa sarebbe successo se, nel 1907, il giovane Adolf Hitler fosse stato ammesso all’Accademia delle Belle Arti invece di, come avvenne nella realtà, essere respinto alle selezioni? Cosa sarebbe diventato l’aspirante pittore se quella voltagli gli fosse stata data la possibilità di iniziare una vita molto diversa da quella che poi lo portò ad essere un feroce criminale e dittatore? Su tale interrogativo, che si è posto l’autore pavese Edoardo Erba, è costruita la commedia in due atti “Senza Hitler”, che ha già ottenuto una Menzione Speciale nell’edizione 2001 del Premio Riccione e pubblicata nella prima raccolta dedicata all’autore Pavese dalla Ubulibri. La pièce è sta messa in scena a Catania, al Teatro Vitaliano Brancati, all’interno dell’odierna stagione di prosa, produzione Teatro della Città, da due interpreti d’eccezione quali Andrea Tidona e Carla Cassola (nella foto di Giuseppe Messina) e con la puntuale e rodata regia di Armando Pugliese.
Lo spettacolo, in un capovolgimento della storia, quella tragica, reale e che ha visto protagonista di stragi immani il dittatore Adolf Hitler, mostra uno scenario ambiguo, oscuro e ricostruisce, sulla scena di Andrea Taddei (un angusto appartamento), la figura di un uomo che nell’immaginario collettivo ha incarnato il male, in una situazione che avrebbe potuto probabilmente vivere se il destino non lo avesse portato a rinunciare alla carriera artistica. Erba nel suo testo ridipinge il mondo, ci parla di un incompreso Mussolini esule in Argentina; di Togliatti al governo dell’Italia dopo il primo sciopero generale e di un Hitler che, rifiutati i suoi quadri in Italia, rientra clandestinamente in patria dove gli viene sequestrato il passaporto.
Accanto ad un sessantenne pittore, incattivito da una carriera deludente, una figura ripiegata sul culto di se stesso, incline all’odio c’è Eva Braun, che si spaccia per sua modella, accetta qualsiasi maltrattamento ed umiliazione pur di stare accanto all’uomo che ama e che immagina e dipinge nelle sue inquietanti tele, stermini e guerre, omicidi e torture e che maledice tutto il mondo e l’umanità che lo circonda.
Anche in questo spettacolo di Erba ritroviamo la consueta ironia che pervade tutti i suoi testi, anche se qui si opta decisamente per un taglio farsesco della rappresentazione che punta sulla caratterizzazione dei personaggi, tranne che per la figura della giovane giornalista che va ad intervistare l’anziano pittore.
Di grande efficacia, sensibilità e forza fisico - espressiva le interpretazioni di Andrea Tidona e Carla Cassola, che ritraggono rispettivamente Hitler e la Braun. Tidona esprime magnificamente la malvagità difficilmente contenibile di Hitler, anche se nei panni di un pittore e Carla Cassola con la sua eterea Eva Braun, sorprende per l’agire fluttuante del suo personaggio che incarna l’estrema libertà. Rigorose, poi, anche la parte del sergente burocrate interpretata da Giovanni Carta e della giovane Anna, resa con naturalezza da Barbara Giordano che veste i panni dell’intervistatrice e che sostiene l’originale trovata del testo di Erba.
La regia di Armando Pugliese rende lo spettacolo estremamente interessante e godibile al pubblico .
Spettacolo ben costruito, che coinvolge, incuriosisce nella sua ipotesi il pubblico che nel finale tributa ad interpreti ed allestimento lunghi e calorosi applausi.Previste repliche sempre al "Brancati" di Catania, dal 4 al 14 marzo.
MAURIZIO GIORDANO
da Cronaca Oggi, quotidiano d'informazione. 2010-02-28
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